I sigilli di casa Savoia

Ancora un’altra guerra e un’altra trasferta, ancora una volta i Savoia provvidero a portare in salvo la Santa Sindone. La mattina del 7 settembre 1939 Giuseppe Ramiro Marcone, abate benedettino presso il santuario di Montevergine, (AV), ricevette un telegramma dalla Santa Sede. Era convocato con urgenza ma nel telegramma non era specificato il motivo. Ad inviare il telegramma era stato monsignor Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo VI. Era scoppiata la guerra, l’Italia era seriamente esposta ad entrare in conflitto ed il Re Vittorio Emanuele III pensò di trasferire la Reliquia da Torino in un luogo più sicuro e segreto ma non sapeva dove. Non solo il Re ma anche suo figlio Umberto II era preoccupato per le sorti della Reliquia. La trasferirono a Roma, al Quirinale, dove in quel tempo risiedeva il Re ma non sembrava un posto sicuro. Presi gli opportuni accordi, il 25 settembre 1939, la Sindone fu trasferita, in auto, al santuario di Montevergine. Ecco il motivo per cui il Marcone fu convocato con urgenza. Furono il cardinal Paolo Brusa e monsignor Giuseppe Gariglio addetti al trasferimento con il massimo riserbo ed il più profondo segreto. Fu redatto un Verbale di consegna e di deposito temporaneo della SS Sindone che sarebbe rimasta a Montevergine fino alla fine della guerra o almeno fino a nuove disposizioni. All’alba di quel giorno, alle 5,30, il canonico Paolo Brusa, giunto al monte, volle celebrare la Santa Messa, non una qualunque ma quella propria della Sindone e, celebrando, piangeva. I monaci astanti intuirono il mistero ma continuarono a mantenere il segreto.

La cassa in cui era la Sindone fu custodita sotto l’altare del Coretto da Notte e vi rimase fino al 29 ottobre 1946 quando ormai la guerra era terminata ed i Savoia avevano ormai lasciato l’Italia ma prima, il 10 giugno 1946, il Re Umberto II aveva scritto al cardinal Maurilio Fossati: “gli eventi in corso mi inducono oggi a comunicare a Vostra Eminenza Reverendissima… do sin d’ora il mio pieno consenso a che trovi il suo pristino collocamento a Torino, nella cappella che ne reca il nome”. Il cardinal Fossati giunse a Montevergine il pomeriggio del 28 ottobre, i monaci desideravano vedere la preziosa Reliquia ed il cardinal Fossati acconsentì. Accorse la comunità ecclesiastica da Loreto e si mossero i monaci da Avellino e poche altre illustri persone fidate. Furono rotti i sigilli, la Sindone fu a lungo venerata e alla fine riavvolta, chiusa e sigillata per esser riportata in auto a Roma poi a Torino.